Ciao Scheletrine e Scheletrini! In questa esplorazione vi porto all’ex Tessitura Viganò di Triuggio, nonché un bell’esempio di archeologia industriale del Novecento.
Dopo aver parcheggiato l’auto a pochi metri di distanza dalla fabbrica, ho oltrepassato un’apertura situata nella parte inferiore del cancello e mi sono infrattata tra la folta vegetazione.
Sicuramente l’estate non mi è stata amica, visto che ha favorito il rigoglioso sviluppo di ortiche e piante di ogni sorta.
Devo però ammettere che il luogo si trova in una strada poco frequentata e non si rischia di dare nell’occhio.
L’opificio Viganò è stato costruito tra il XIX e il XX secolo.
Sulla riva destra del fiume era situata la filatura, mentre su quella sinistra la tessitura.
La fabbrica, durante il suo periodo più fiorente, riuscì a dare lavoro a ben 1400 dipendenti, ma a danni dell’ambiente.
La Viganò ricevette infatti la prima denuncia per avvelenamento delle acque del Lambro.
Il 3 ottobre 1894 gli abitanti di Molino Bassi a Sovico protestarono contro una notevole moria di pesci tramite una denuncia scritta rivolta al sindaco.
La sotto prefettura impose pertanto alla tessitura Viganò di non inquinare più il Lambro con il cloro e di ripopolare il fiume con una quantità di pesci pari a quelli morti.
Il declino della fabbrica iniziò nel 1923, quando si verificò il crollo di una diga sul Gleno, la quale fu costruita proprio dalla suddetta.
Il titolare Virgilio Viganò fu condannato ad una pena detentiva di due anni.
Nel 1933 l’opificio fu infine messo in liquidazione.
Se volete vedere le mie foto cliccate qui
Per entrare all’ex Tessitura Viganò, vi consiglio di parcheggiare l’auto a qualche metro di distanza, per poi proseguire a piedi e infilarvi sotto la cancellata rotta.
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